Il nuovo libro del dantista Aldo Onorati. “La “Madonna Povertà” della Divina Commedia”
IL PROF. ALDO ONORATI è considerato ormai un dantista di alto spessore, scomodo perché sta ribaltando alcuni concetti tenuti per sicuri da molti (per esempio il vero giudizio di Dante sugli omosessuali, esposto nel famoso libro “Dante e l’omosessualità: l’amore oltre le fronde” e la considerazione che il Poeta aveva della fama, col libro recente “Il concetto di gloria in Dante, Foscolo, Schopenhauer e Leopardi”).
Le sue conferenze in Italia e all’estero dicono sempre qualcosa di nuovo, di inusitato. Straordinaria la serata del 2 Luglio scorso a Roma, a Castel Sant’Angelo, in cui il professore ha trattato, senza leggere una riga, il tema ostico e complesso: “I passi oscuri del profetiamo nella Divina Commedia”. Ora tiene un corso a Palazzo Chigi ad Ariccia su “Le donne nel Poema Sacro” e dirige, con la prof.ssa Lucia Caravale, il ciclo di incontri su “Viaggio attraverso il mondo poetico di Dante”, a Roma, a Palazzo Firenze, nella sala del Primaticcio della Società Dante Alighieri.
Di questi giorni è la pubblicazione di un breve studio (64 pag., Controluce editrice, euro 8,00) che verte sulla vexata quaestio dell’undicesimo canto del Paradiso: perché Dante abbia insistito soltanto sulla “povertà” di san Francesco e non sulle altre sue virtù. Il libro, con una copertina stupenda del pittore Bruno Improta, è intitolato: “Dante e San Francesco: il segreto di “Madonna Povertà”.
Procediamo con ordine, perché il concetto (e la scoperta) di Aldo Onorati è chiaro, ma richiede una conoscenza approfondita dell’opera dell’Alighieri. Io cercherò di sintetizzare i punti su cui si basa il ragionamento (d’altronde, collaboro con Onorati da anni ed ho avuto il piacere di scrivere il saggio introduttivo a “Dante e l’omosessualità”).
Gli esegeti hanno sempre lamentato il fatto che il Fiorentino abbia messo in luce, con insistenza, unicamente la scelta, da parte del Santo di Assisi, della povertà. Il solo a sposarla dopo Gesù Cristo.
È vero che nel canto suddetto (XI del Paradiso) Dante accenna di sfuggita anche al viaggio del Poverello presso i musulmani e alle stigmate, però “dimentica” i miracoli, il misticismo, le prediche, le infinite virtù eroiche del nostro Patrono.
I commentatori scioglievano il nodo gordiano dicendo che a Dante premeva mettere il dito sulla piaga della ricchezza della Chiesa contrastante con la semplicità evangelica (“Beati voi poveri, perché vostro è il regno di Dio”, “Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo”), al tempo non solo di san Francesco, ma al suo con papa Bonifacio VIII, quando le diatribe prendevano corpo nelle figure di Matteo D’Acquasparta (che era per un alleggerimento della Regola francescana) e di Ubertino Da Casale (che era per un irrigidimento della povertà in seno alla Chiesa).
Onorati va oltre e cerca motivazioni più probanti. E le trova.
La prima (ce ne sono tante, però devo sintetizzarle per motivi di spazio) riguarda la persona del Poeta, il quale condusse una vita in “paupertate”, essendo egli vicino agli Spirituali, ammirando gli asceti che mette in Paradiso (“Che pur con cibi di liquor d’ulivi/ lievemente passava e caldi e geli/ contento ne’ pensier contemplativi”: san Pier Damiani); la seconda va ricercata nella continua condanna della ricchezza, della cupidigia causa di tutti i mali (la lupa del primo canto dell’Inferno, lupa che si sposa ad altre belve e che solo il Veltro rimetterà nel regno delle tenebre “donde invidia prima dipartila”, da dove il diavolo la scacciò per corrompere gli uomini).
Tuttavia, i punti di demarcazione non si fermano qui. Nel XXII del Purgatorio ci sono esempi di continenza chiari: vanno da Maria Vergine alle romane antiche, da Daniello a Giovanni il Battista; e pure nel XV canto del Paradiso, Cacciaguida loda il vivere semplice dei suoi concittadini del millecento in Firenze. Insomma, la povertà vista in senso evangelico (soprattutto “in spirito”) diviene l’antidoto all’avidità.
La prima è alla base della pace, dell’onestà e del rinnovamento dei cuori; la seconda porta con sé violenza, sopruso, corruzione, guerre, devianza dal dettato di Cristo.
Ecco perché Dante prende occasione da San Francesco per ribadire che la sola Paupertas è esempio supremo di equilibrio e di relativizzazione delle passioni umane che portano “in basso a batter l’ale” negando all’uomo di alzare lo sguardo al fine della vita e delle cose tutte: Dio.
Daniele Priori